L’Italia è in emergenza demografica. Ma nel mondo sviluppato i tassi di fecondità sono ovunque un problema. E’ l’effetto di una cultura che ha trasformato tutto in merce e reso i figli un optional
Con un tasso di fecondità sceso nel 2018 a 1,29 figli per donna l’Italia è in piena crisi demografica. Ma si può fare qualcosa di utile contro il crollo delle nascite? Ovviamente sì. Ma chiunque volesse cimentarsi nell’impresa dovrebbe tenere conto di un aspetto che può sconfortare: per ridare linfa alla natalità non basta il pur indispensabile impegno per cercare di colmare la distanza che ci separa dai Paesi con assegni per i figli più generosi, un fisco più leggero per chi ha famiglia e misure più incisive per favorire la conciliazione casa-lavoro. Intendiamoci, è tutto molto più che necessario: è dovuto. Ma ogni sforzo dovrebbe fare i conti con una cultura che ha messo i figli fuori dall’orizzonte del dono, trasformandoli in un bene desiderato ma non primario, a volte un lusso, altre un optional.
Non è un problema solo italiano, è globale. In tutto il mondo sviluppato i tassi di fecondità sono sotto il tasso di sostituzione di 2,1 figli per donna necessario a garantire la stabilità della popolazione. Ciò a cui si sta assistendo è una convergenza verso la cifra di 1,7 figli. Lyman Stone, economista americano esperto di questioni demografiche, nell’indicare questa tendenza ha parlato di un «new normal della natalità», una specie di nuovo standard equiparabile alla «stagnazione secolare» dell’economia, concetto proposto dall’ex segretario al Tesoro Usa Larry Summers. E come le banche centrali sembrano avere le armi spuntate quando cercano di incidere sull’inflazione con la leva monetaria, anche i governi oggi paiono impotenti nel tentativo di contrastare il declino demografico e l’invecchiamento della società. Perché la società è cambiata e di Mario Draghi della natalità non se ne vedono all’orizzonte….