Ritratto di un artista che pose la fede popolare e la teologia alla radice dei suoi film.
I funerali di Ermanno Olmi, morto lunedì 7 maggio a 86 anni, si sono svolti oggi, martedì 8 maggio, di prima mattina in forma privata al cimitero di Asiago, il paese veneto dove è morto lunedì e dove oggi è stato indetto il lutto cittadino.
Ermanno Olmi non era un cristiano incontentabile: era incontentabile perché era un cristiano. Amava la realtà in modo appassionato, indagandone e ammirandone ogni dettaglio, dalle meraviglie segrete del creato fino alle imprese, spesso altrettanto nascoste, attraverso le quali l’uomo mette alla prova la propria grandezza. Da questo punto di vista, il suo film più compiutamente cristiano è forse Il mestiere delle armi, del 2001, e non soltanto per il nome dell’attore protagonista, il bulgaro Hristo Jivkov, che dà corpo e volto all’agonia di Giovanni delle Bande Nere, nobiluomo e capitano di ventura, sospeso come tutti noi fra il desiderio di assoluto e la pena di scoprirsi mortale.
A portarselo via, nonostante il coraggio e la determinazione, sarà il «percosso», parola che nell’italiano rinascimentale andrebbe intesa in senso tecnico (infezione, cancrena), ma che nel racconto cinematografico di Olmi assume una connotazione più ampia e misteriosa. È la ferita che ci accomuna, il limite che ci contiene, l’incompletezza che predispone alla salvezza sì, ma anche, e prima ancora, alla sofferenza. Per questo, nella memorabile versione televisiva della Genesi realizzata da Olmi nel 1994, la scena del peccato originale – il primo «percosso», dal quale tutti gli altri discendono – era accompagnata dal pianto silenzioso e inspiegabile di una bambina che ascolta la storia dei progenitori dalla voce di un vecchio beduino. Per questo, si potrebbe aggiungere, in occasione del Giubileo del Duemila Olmi aveva accettato di dirigere la diretta dell’apertura e della chiusura della Porta Santa in San Pietro: una cronaca di fortissima resa spettacolare, grazie alla quale il varco tra visibile e invisibile assumeva per qualche istante la concretezza materiale di cui l’incontentabile Olmi era sempre andato in cerca.
Nel 2013, a ridosso della rinuncia di Benedetto XVI, aveva pubblicato la Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù, un libro che argomentava in modo ancor più radicale l’evangelica rivoluzione della carità tratteggiata un paio di anni prima nell’apologo cinematografico di Il villaggio di cartone.
In quelle pagine ci si tornava a domandare se e quando sarebbe stato possibile conciliare la missione del Papa con il carisma di Francesco d’Assisi. Di lì a poco Jorge Mario Bergoglio aveva scelto per sé il nome del Poverello, ma Olmi, irriducibile a dispetto dell’età e dei malanni,…(continua)